sabato 25 luglio 2009

Comunicato stampa

Siamo giunti al momento dei bilanci. Il 31 Luglio scade il termine di presentazione per le modifiche ai disciplinari dei vini DOC e a tutt'oggi non è dato sapere se è stata presentata o è in via di presentazione la modifica di disciplinare del Cirò DOC.

Innanzitutto ringraziamo tutti i firmatari della petizione, le istituzioni che hanno condiviso e portato avanti la nostra battaglia, il popolo di internet che su Facebook, blog e altri canali hanno diffuso la petizione, i blogger che attraverso i loro post ci hanno sostenuto e hanno confermato che la nostra iniziativa ha delle fondate ragioni e non una sterile polemica provinciale e personale.

Fin dalla lettera iniziale (che invitiamo a ri-leggere) allegata alla petizione, non ci siamo detti contrari ad una modifica ma abbiamo escluso l'utilizzo di varietà non Calabresi, ponendo tre questioni fondamentali: culturali, tecniche e di democrazia e trasparenza.

Questa impostazione è stata condivisa da moltissimi amici ed estimatori del Cirò (un migliaio di adesioni sotto varie forme), che rispecchia il largo rifiuto sul territorio cirotano a modificare il disciplinare nelle forme proposte dal Consorzio di Tutela del Cirò.

Tra i viticoltori la contrarietà è quasi unanime, infatti:

La principale cooperativa di viticoltori (CA.VI.C) è contraria.

L'associazione “Vignaioli del Cirò”, presieduta da Francesco Porti, è contraria.

L'associazione di viticoltori “Domenico Ferraro”, presieduta da Franco Librandi, è contraria.

Tra le Cantine:

L'Azienda Librandi (che non fa parte del Consorzio) rappresenta quasi il 50% del DOC Cirò ed è contraria.

Aziende come le Cantine Riunite del Cirò e Melissa, Tenuta del Conte, Facente e altre piccole realtà come Colli Capoano, Vigna De Franco, Crapisto sono contrarie.

Inoltre siamo a conoscenza di altre aziende che, pur essendo contrarie, hanno evitato di esporsi.

I Sindaci dei 4 comuni (Cirò, Cirò Marina, Melissa e Crucoli) hanno dichiarato la loro contrarietà.

Lo stesso Consorzio di Tutela nel comunicato stampa del 2 Luglio '09 a proposito delle varietà internazionali afferma:

[...] vitigni, Merlot e Cabernet, poco diffusi nel territorio, poco amati dai contadini, e francamente poco probabili in una scelta di uvaggio in un momento in cui tutti tendiamo a scegliere vuoi per qualità e unicità, vuoi per moda, i vitigni autoctoni”

Quindi dopo queste considerazioni ci chiediamo: come mai tanta ostinazione nel continuare a considerare le varietà non calabresi? Come mai il Consorzio, coerentemente con quanto scrive, non aggiunge nella proposta di modifica una semplice frase: “ad esclusione di...(indicando le varietà escluse)”?

Noi una risposta ce la siamo data e non è una pura fantasia, ma ormai di dominio pubblico tanto da essere pubblicata (e mai smentita) da “il Crotonese” del 22 Maggio a pag. 23 dove si afferma:

[...] il fine ultimo è quello di legalizzare la frequente vinificazione di uve prodotte da vitigni diversi dal Gaglioppo e Greco bianco, dando concreta attuazione ai principi di legalità, trasparenza e tracciabilità”

Concetto ribadito sempre su “il Crotonese” del 30 Giugno. Siamo di fronte, in definitiva, ad una sanatoria di evidenti condizioni di illegalità.

Allora la domanda è: cosa hanno fatto sinora gli organi preposti al controllo? Hanno controllato? Con quali risultati? (ricordiamo che il Consorzio di Tutela del Cirò è autorizzato al controllo “erga omnes” cioè verso tutti, associati e non associati).

Pertanto facciamo appello al Consorzio di Tutela perché fermi tutte le procedure in corso per le modifiche al disciplinare e apra un dialogo con tutti i soggetti coinvolti, per arrivare ad una soluzione condivisa.

Nello stesso tempo invitiamo il Consorzio a farsi carico dei suoi compiti istituzionali di tutela del vino Cirò DOC e del rispetto della legalità e, se esistono situazioni anomale, attivare attraverso gli organi preposti le procedure per il declassamento dei vigneti o per imporre un reinnesto sui vigneti illegali.

Non vorremmo che per il Cirò si possa ripetere un caso Brunello, dove per riportare la legalità è intervenuta la magistratura. Non vorremmo questo perché sarebbe un grave danno all'immagine di tutto il Cirò e all'economia di tutto il territorio che si ritroverebbe a pagare la furbizia di pochi. Se dovesse succedere questo, è giusto, allora, che ognuno si assuma le proprie responsabilità.

Oltre agli aspetti legati alle modifiche del disciplinare del Cirò, volevamo evidenziare la mancanza di trasparenza che ha caratterizzato il contesto in cui si è svolta tutta questa vicenda. Anche questa non è una nostra opinione, ma la triste constatazione dei fatti accaduti.

Infatti a tutt'oggi non esiste una proposta di modifica del disciplinare consultabile presso la sede del Consorzio, ci basiamo (associati e non) su comunicati stampa, su copie distribuite e poi modificate, sui “si dice”, “sembra che..”.

Emblematica è la vicenda che ha riguardato la ricerca scientifica che dovrebbe supportare le modifiche: nessuno ha mai avuto modo di leggerla; in una lettera al Sindaco di Cirò Marina e su “il Crotonese” del 22 Maggio si afferma che al Consorzio sono pervenuti gli ottimi consigli da illustri docenti universitari quali Fregoni, Calò, Bernabei, Scienza, Savino[...]”. Peccato che il Prof. Fregoni e il Prof. Scienza smentiscano ufficialmente e diffidino il Consorzio nell'utilizzo del loro nome per scelte non condivise. Bella figura per il popolo cirotano!

Stesse dinamiche per quanto riguarda l'approvazione delle modifiche: sulla stampa si scrive che è stato approvato in sede di Assemblea dei soci del Consorzio, ma ci sono decine di testimoni che possono affermare in tutte le sedi che l'Assemblea del 26 Giugno 2009 si è sciolta senza alcuna votazione. Quindi: chi ha votato? cosa è stato votato? quando? in che sede? Attendiamo risposte.

In quella sede, inoltre, non si è giunti ad una votazione sulle modifiche al disciplinare, perché oltre al dissenso sulle varietà da utilizzare (art. 2), alcune aziende erano contrarie all'imbottigliamento obbligatorio in zona (art. 5); Ora dalle ultime voci sembra che si sia barattato l'art. 5 (l'imbottigliamento fuori zona) con l'approvazione delle altre modifiche.

Una operazione, se è vera, di bassissimo livello che smentisce quanto affermato dal Consorzio nel comunicato stampa a proposito dell'art. 5:

[...] limitare l'imbottigliamento alle zone di produzione non significa porre dei limiti al libero mercato bensì evitare speculazioni commerciali sul nome del Cirò, nonché garantire al consumatore finale una più probabile autenticità del vinoi in bottiglia”

Queste vicende ci danno la misura di una classe imprenditoriale che singolarmente è capace di buoni risultati, ma nel suo complesso non riesce a progettare strategicamente il futuro del prodotto Cirò.

Così, di fronte alla scelta tra produrre un prodotto di nicchia qual'è il Cirò (circa 40.000 hL, quantità che potrebbe essere stivata in una sola cantina del Veneto, del Piemonte, della Sicilia o della Toscana) o un prodotto industriale, si sceglie la seconda perché bisogna assecondare il mercato.

Per semplificare: tra il modello Brunello e il modello Tavernello scegliamo il Tavernello perché è il vino più venduto!

giovedì 16 luglio 2009

Svolta l'Assemblea pubblica


(nelle foto: i Sindaci e l'On.Oliverio, il Prof. Nicodemo Librandi, Giuseppe Marino)

Si è svolta venerdì 10 Luglio, presso il Centro servizi del Comune di Cirò, un'assemblea pubblica per discutere delle proposte di modifiche del disciplinare di produzione del Cirò DOC.


All'assemblea, molto partecipata , erano presenti i Sindaci di Cirò Mario Caruso, di Cirò Marina Nicodemo Parrilla, di Crucoli Antonio Sicilia, di Melissa Gino Murgi e l'On. Nicodemo Oliverio.

Tutti concordi che il processo del cambio del disciplinare del "Cirò" iniziato unilateralmente dal Consorzio di Tutela dei Vini DOC Cirò e Melissa, deve essere bloccato e ridiscusso.

Alla discussione ha partecipato anche il prof. Nicodemo Librandi, il quale ha motivato con un lungo intervento l'adesione all'iniziativa di Giuseppe Marino.

giovedì 9 luglio 2009

Assemblea pubblica

I sindaci del comprensorio del Cirò (Cirò, Cirò Marina, Crucoli) indicono un'assemblea pubblica per discutere delle proposte di modifiche del disciplinare di produzione del Cirò DOC.

L'assemblea si terrà domani Venerdì 10 Luglio alle ore 18,00 presso il Centro servizi del Comune di Cirò (qui la mappa)

Sicuramente questo è il risultato della pressione mediatica e della discussione che si è aperta successivamente al nostro appello "In difesa dell'identità del vino Cirò".

Per questo ringraziamo tutti i firmatari della petizione , gli iscritti al gruppo di Facebook, tutti i blogger che hanno riportato la notizia (vedi la rassegna web e la lista dei siti che linkano la petizione), perchè grazie al loro supporto siamo riusciti a sensibilizzare un'ambiente apatico, che stava per accettare con rassegnazione le modifiche proposte.

Il nostro auspicio è che le decisioni vengano prese sulla base di una progettualità che pensi al futuro, attraverso un'attenta valutazione di analisi di mercato, di ricerche scientifiche e salvaguardando le peculiarità culturali ed identitarie che sono parte integrante del prodotto vino.

venerdì 3 luglio 2009

Civò è più chic di Cirò

L'eco della discussione sul futuro del Cirò DOC arriva in America. La notizia è ripresa dal blog On the Wine Trail in Italy redatto da Alfonso Cevola, figlio di calabresi emigrati.
Che un americano parli del vino prodotto nella regione di origine dei suoi genitori, evidenzia quanto forte e simbolico sia il legame del vino con la Terra e la cultura del territorio.
Attraverso il vino raccontiamo le nostre origini, la nostra cultura, la nostra identità, anche (e soprattutto) se siamo lontani da questa Terra, nello spazio e nel tempo. A migliaia di Km da Cirò il nostro vino parla di noi.
Oggi, però, alcuni vogliono che parli con la erre moscia, alla francese, perche Civò è più chic di Cirò.

Luciano Pignataro commenta il comunicato stampa del Consorzio

Riportiamo il commento di Luciano Pignataro al comunicato stampa del Consorzio pubblicato su www.lucianopignataro.it
"Condividiamo il ragionamento del presidente Cianciaruso e lo sottoscriveremmo in pieno solo se ad esso si aggiunge una postilla, condivisa del resto anche da coloro che hanno lanciato l'appello: discutiamo pure delle modifiche, a patto che sia esclusa esplicitamente la possibilità di inserire nel Cirò qualsiasi vitigno internazionale (l.p.)".



giovedì 2 luglio 2009

Comunicato stampa Consorzio di tutela del Cirò

Di seguito pubblichiamo il comunicato stampa del consorzio di tutela dei vini Cirò e Melissa inviato alla nostra mail difesavinociro@gmail.com
Per il momento ci asteniamo da commenti che potrebbero essere male interpretati. In un precedente post abbiamo già scritto "..che la nostra petizione pone problematiche tecniche, culturali ed identitarie, fuori da ogni polemica paesana. Non siamo contro qualcuno, esprimiamo il nostro punto di vista che al momento risulta largamente condiviso".


Modifiche al disciplinare della D.O.C. Cirò

FACCIAMO UN PO’ DI CHIAREZZA

Il Consorzio di Tutela dei Vini DOC Cirò e Melissa, costituito dalla maggioranza degli attori dell’intera filiera vitivinicola del Cirò e Melissa, dopo 40 anni dall’approvazione del disciplinare di produzione (Dpr 2 aprile 1969 con modifica solo sulle tipologie del Dpr 25 settembre 1989) ha ritenuto opportuno e doveroso proporre delle variazioni al fine di difendere la territorialità, migliorare la qualità, tutelare il consumatore e rafforzare l’immagine del vino più famoso di Calabria, patrimonio dell’intera comunità.

Tali proposte sono purtroppo interpretate male e strumentalizzate da chi del Cirò sa ben poco o, ancor più grave, da chi del Cirò se ne vergogna, scatenando una guerra mediatica che porta solo ad un ulteriore impoverimento dell’intero territorio.

Dei 9 articoli che compongono l’attuale disciplinare, le variazioni proposte toccano 5 articoli, nella fattispecie gli art. 2, art. 4, art. 5, art. 7, art. 8. Oggetto di tanto clamore è la modifica proposta all’art. 2. Nessun accenno, di consenso o dissenso è stato riscontrato in merito alla modifica di altri due articoli (art. 4 e art. 5) che riteniamo fondamentali per il miglioramento qualitativo e soprattutto per la tutela di quell’identità che molti invocano, senza essere a conoscenza delle reali problematiche agricole, di territorio e di mercato che minacciano seriamente l’intera filiera, viticultori in primis.

Iniziamo con l’art. 4, rimandando solo in ultimo l’art. 2.

L’ art. 4 prevede una riduzione della resa massima per ettaro con obbligo di diradamento in caso di eccessiva produzione. Una minor produzione per ettaro, a parità di densità di piante, è uno strumento di miglioramento della qualità delle uve e quindi del vino.

L’art. 5 prevede che l’imbottigliamento dei vini Cirò rosso, rosato e bianco debba essere effettuato all'interno delle zone di produzione. Ad oggi, è possibile trovare sugli scaffali dei vini Cirò imbottigliati in altre regioni d’Italia o addirittura all’estero, con marchi di fantasia a prezzi a dir poco offensivi per il nostro territorio e tutto il lavoro che sta dietro una bottiglia di Cirò. Limitare l’imbottigliamento alla zona di produzione non significa porre dei limiti al libero mercato bensì evitare pure speculazioni commerciali sul nome del Cirò, nonché garantire al consumatore finale una più probabile autenticità del vino in bottiglia.

L’art. 7 introduce nel disciplinare il logo del Consorzio (secondi in Italia dopo il Chianti classico) che dovrà essere obbligatoriamente apposto sulle fascette identificative sul collo della bottiglia, a riconoscimento dell’avvenuto controllo del Consorzio ed a maggior tutela del consumatore finale.

Le modifiche agli altri articoli sono conseguenza delle modifiche di cui sopra, dell’art. 2, nonché dell’adeguamento alle norme comunitarie che regolamentano la materia.


Arriviamo al tanto discusso art. 2.

Attualmente il disciplinare prevede che il Cirò rosso e rosato siano composti per almeno un 95% da uve Gaglioppo e per un restante 5% da uve Greco bianco e/o Trebbiano toscano.

Fino a pochi giorni fa, nessuno aveva mai contestato il disciplinare di produzione perché prevede un 5% di Greco bianco, che non può che peggiorare la qualità visiva del vino aggiungendo del vino bianco ad un vitigno per sua natura scarico di colore, e di Trebbiano toscano, che oltre a presentare le stesse problematiche, di autoctono non ha veramente nulla. Tant’è che fino a prova contraria tutte le aziende dichiarano di produrre i propri vini Cirò rosso DOC con il solo Gaglioppo.

E questo sempre per mantener fede ad un disciplinare datato 1969, in cui per una moda di mercato che voleva vini da monovitigno e per una maggiore produttività in vigna, si è privilegiato il solo Gaglioppo sebbene i vigneti del cirotano fossero caratterizzati in parte da tanti altri vitigni a bacca rossa. Dal libro “Descrizione ed istorica narrazione dell’origine e vicende politico-economiche di Cirò” di Giovan Francesco Pugliese del 1849, vol 1°, pagg. 58-62 si evince come in quegli anni il vigneto cirotano fosse composto da 10 “razze bianche da mosto” e da 10 “razze nere da mosto… sparse in confuso per tutto il vigneto”. E ne fa un elenco: “Gaglioppo di 3 specie per la diversa grossezza, Gaglioppo a testicoletto, Piede longa (Olivella), Infarinata, Lagrima, Tenerella, Sanseverina (Colorino), Canino, forse la migliore per mosto, Lagrima a testicoletto, che anche si mangia, Norella o Tintiglia (Alicante n.d.a.)”. E ne cita altrettante a bacca bianca e oltre 20 “razze da mangiare”. Pugliese scriveva ancora “Diffuse le vigne da perdove si pensò da’ Cirotani di sostenersi alla concorrenza accrescendone la quantità, e perciò si moltiplicarono le uve troppo acquose, nere, e bianche mischiate, e si scemò il prezzo derivante dalla qualità. In commercio si desiderava vino colorito brillante, rosso cupo e spiritoso…”. Dunque le esigenze di mercato ritenute da qualcuno moderne e quindi non da assecondare, sono datate 1849.

Arriviamo alla modifica. È previsto un allargamento facoltativo, e sottolineiamo facoltativo, della base ampelografica dei vini Cirò rosso, rosato e bianco ad altri vitigni autorizzati e raccomandati per la regione Calabria per un massimo del 20%. Le uve dovranno pervenire esclusivamente da vigneti situati nell’area della doc e non da fuori regione come qualcuno in mala fede afferma. Ciò significa che una vigna del Cirò potrà, e solo se il viticultore vorrà, essere composta da minimo un 80% Gaglioppo e massimo un 20% di altri vitigni consentiti. Allargare la varietà dei vitigni a quelli raccomandati dalla regione Calabria non significa aprire le porte agli internazionali, bensì ad altri vitigni autoctoni (a bacca nera: Calabrese, Castiglione, Greco nero, Magliocco canino, Marsigliana nera, Nerello cappuccio, Nerello mascalese, Nocera, Prunesta e altri; a bacca bianca: Guardavalle, Guarnaccia, Incrocio Manzoni 6.0.13, Malvasia bianca, Montonico bianco, Moscato bianco, Pecorello e altri) già iscritti nel Registro Nazionale delle Varietà di Vite, e a tutti quei vitigni (Infarinata, Pedilongo ecc.) che verranno catalogati in seguito alle ricerche finanziate dalla regione Calabria svolte dall’azienda Librandi. Solo e soltanto se catalogati e autorizzati possono essere inclusi nella base del Cirò. È evidente, come questa proposta di variazione sia solo frutto di una più attenta analisi del passato ed un progetto di ripristino della base ampelografica che ha caratterizzato i vigneti del Cirò per 2 millenni, modifica che auspichiamo possa essere la carta vincente per conquistare nuovi mercati. Allora ci chiediamo se su una lista di oltre 30 vitigni, bisogna paralizzare un siffatto progetto di miglioramento qualitativo per l’introduzione di soli 2 vitigni, Merlot e Cabernet, poco diffusi nel territorio, poco amati dai contadini, e francamente poco probabili in una scelta di uvaggio in un momento in cui tutti tendiamo a scegliere vuoi per qualità e unicità, vuoi per moda, i vitigni autoctoni? Il Nobile di Montepulciano, l’Aglianico del Taburno, il Montepulciano d’Abruzzo, il Cannonau di Sardegna, il Taurasi, il Picolit, e l’elenco sarebbe molto lungo, consentono queste introduzioni, senza pregiudicarne la territorialità.

E perché il 20%? E non il 30%? O il 5%? Ironizzando rispondiamo, perché allora non tutto il cucuzzaro? Anche questa ci sembra una sterile polemica funzionale al non fare!

Lontano dalle nostre parole l’ingiuria e le polemiche, questa contestazione ci sembra solo una scusa per mettere il bastone tra le ruote all’operato del Consorzio ed al suo presidente. E siamo pronti a sfidare chiunque a giudicare un vino “non territoriale”, o ancora peggio “omologato e standardizzato” ad altri vini, un vino che abbia almeno l’80% di Gaglioppo, vitigno tipico cirotano, unico nel panorama internazionale e solo qui coltivato. Chi sostiene questo, vuol dire che non conosce sufficientemente il nostro vitigno e le sue peculiarità organolettiche.

Se poi non modificare il disciplinare per preservare l’identità secondo l’accezione di talune aziende, significherebbe continuare a proporre vino Cirò anche al di sotto dei 2 Euro o ancor peggio vedere la propria riserva di punta proposta sugli scaffali intorno ai 6 Euro, iva e ricarico inclusi, e magari proporre vini IGT a prezzi decisamente più alti, frutto di ingenti investimenti fuori dalla tanto amata e salvaguardata zona DOC, beh, allora noi non ci stiamo.

Così come non sottostiamo al furbo di turno con un pelo sullo stomaco più radicato degli altri che, raggirando il disciplinare, propone sul mercato vini inevitabilmente giudicati moderni, buoni, di qualità e soprattutto apprezzati da tutte quelle persone che bevono il vino per la propria bontà, per la propria bevibilità a prescindere dai disciplinari e dalle belle parole di qualche filosofo del vino che raramente ha messo un piede in vigna e mai ha venduto una bottiglia di vino, da tutte quelle persone che non hanno l’opportunità di bere il vino insieme al produttore con le sue spiegazioni sulle caratteristiche del vitigno motivando eventuali pregi o difetti, e da tutti quelli che bevono Cirò ignorando che sia fatto da solo Gaglioppo, ma solo perché sono state in Calabria, perché è una delle DOC più storiche d’Italia, più famose del Sud, magari anche perché prodotta e commercializzata da un gruppo di aziende storiche e neonate che hanno deciso di consorziarsi e che vivono quotidianamente le problematiche della DOC, del territorio, del mercato, di far quadrare i propri bilanci, di garantire i posti di lavoro a centinaia di persone e che hanno a cuore il futuro del Cirò più di chiunque altro, perché prima di voler del male al Cirò dovrebbero voler del male a se stessi!

Consorzio di Tutela Vini Cirò e Melissa D.O.C.