sabato 22 agosto 2009

La superiorità dell'autoctono

In questo post esponiamo, nel modo più semplice possibile, alcuni aspetti tecnici che dimostrano la superiorità del prodotto autoctono rispetto agli "internazionali", fermo restando che la nostra contrarietà sull'utilizzo di varietà internazionali per la produzione del Cirò DOC è legata prima di tutto a motivi culturali ed identitari .

Prendiamo spunto dai dati pubblicati nei bollettini agrometeorologici curati dall' ARSSA e diamo subito uno sguardo alla media 2003-2008 deii parametri meteorologici rilevati dall'ARSSA:

In questo grafico si evidenzia che, in provincia di Crotone, il periodo Luglio-Agosto sia quello più caldo dell'anno, con temperature massime superiori ai 30° C e quelle minime sopra i 20° C.

Ebbene, questo periodo coincide con la fase di piena maturazione delle varietà internazionali, e le alte temperature a cui sono sottoposte le uve pregiudicano sia gli aromi, sia i valori di acidità e di pH, oltre che la qualità dei polifenoli (antociani e tannini).

Il Gaglioppo, di contro, ha una maturazione lenta (si raccoglie nella prima-seconda settimana di Ottobre) quando le temperature massime scendono sotto i 30° C e le minime sono al di sotto dei 20°, condizioni che preservano aromi e acidi.

Tutto questo è confermato dai campionamenti settimanali dell'ARSSA, che valutano i livelli di maturazione delle cultivar di vite diffuse nella provincia di Crotone.


Facendo il confronto tra il Gaglioppo (o il Magliocco) e il Cabernet Sauvignon, si nota che a valori comparabili di zuccheri, si contrappongono valori di acidità totale e di pH decisamente sfavorevoli per il Cabernet Sauvignon, che potranno solo peggiorare con il procedere della maturazione.

In definitiva, in questa breve disamina tecnica viene fuori che "autoctono" non è una categoria dell'anima, ma è frutto dell'adattamento alle condizioni pedoclimatiche che alcune varietà di vite hanno condotto nei millenni, dando luogo a prodotti che tecnicamente non hanno bisogno di ulteriori interventi.

Sfatiamo dunque il mito, tanto caro ad una "moderna" enologia, che tutto si possa fare dappertutto con la stessa qualità.

Finiamola di definire "migliorativi" vitigni che sono grandissimi nella loro terra d'origine, ma assolutamente mediocri in altri contesti.